Madrid – Nel suo fortunato libro del 1952, l’Aproximación á la Historia de España, Jaime Vicens Vives definì “crisi gravissima” quella sviluppatasi in seno alla monarchia spagnola nei primi decenni del Seicento, illustrandone, con l’efficacia riconosciutagli da generazioni di studenti, i tratti salienti: «L’attività economica scema dappertutto, perfino nel commercio con l’America, fino allora così prospero. Le città si spopolano e i telai ammutoliscono; solo Madrid ingigantisce con la immigrazione di miserabili e malfattori. La fame viene dal Sud, la peste dal Nord; congiunte, portano alla disperazione una popolazione già fin troppo castigata dall’implacabile sferza del destino» (Profilo della storia di Spagna, Torino, Einaudi, 1966, p. 120). La svalutazione monetaria inaugura un secolo di “avventure finanziarie”, mentre l’avvento di Filippo IV e del conte di Olivares determina un rafforzamento del latifondismo e dell’accentramento dei poteri, negli anni in cui la Spagna sceglie di finanziare con l’oro le campagne militari sul continente e fronteggia le turbolenze catalane e portoghesi.
Non va però dimenticato che il secolo si apre col Quijote, uscito nel 1605 per Juan de la Cuesta, e che proprio gli studi su Cervantes hanno permesso di approfondire alcuni aspetti legati alla cultura del libro in questa complessa fase della storia iberica. Possiamo dire – con Borges, quando scrive delle Magie parziali del «Don Chisciotte – che «Cervantes ha creato per noi la poesia della Spagna del secolo XVII, ma né quel secolo né quella Spagna erano poetici per lui»(Altre inquisizioni, 1952, in Tutte le opere, a cura di D. Porzio, I, Milano, Mondadori, 1984, p. 949).
Ora, partendo dall’inventario e dal catalogo di Alonso Pérez, libraio, editore (di Lope de Vega e Francisco de Quevedo, tra gli altri), attivo nella prima metà del Seicento, Anne Cayuela ha ricomposto il contesto editoriale madrileno nel quale il librero agiva, precisando come, con l’inizio del secolo XVII, il mondo del libro spagnolo attraversi un periodo di significativi cambiamenti, mentre prende forma, anche in Spagna, una nuova economia della letteratura. E Madrid ne è il centro, naturalmente. «La imprenta, introducida en 1566, y el comercio de librería contribuyeron al desarrollo y al esplendor de la ciudad», conferma Cayuela in Imprenta, libros y lectura en la España del Quijote (Madrid, Imprenta Artesanal del Ayuntamiento de Madrid, 2006, pp. 359-382), e la città riesce ad amalgamare il mondo della produzione (scrittori, finanziatori, tipografi) con quello della ricezione: il pubblico dei lettori. Secondo Fermín de los Reyes, tra 1610 e 1625 sarebbero state prodotte 2.000 edizioni madrilene, che salirebbero a 3.000 negli anni 1626-1650. Abbiamo anche già visto che la Spagna resta «un buon mercato per i librai stranieri» – hanno scritto Febvre e Martin – e pertanto «molto spesso si continua a usare libri stampati all’estero, soprattutto a Lione e ad Anversa».
Se prendiamo la celebre opera di Pedro Malón de Chaide, il Libro de la conve[r]sion de la Madalena, Valencia 1600, in cui «se esponen los tres estados que tuvo de pecadora, y de penitente, y de gracia», troviamo un caposaldo del misticismo spagnolo e dell’eloquenza sacra. Uscita per la prima volta nel 1588, è dedicata a doña Beatriz [Cerdan] y de Heredia en el monasterio de Santa Maria de [Casuas] de Aragon. Fray Pedro Malón de Chaide, agostiniano, fu un tenace avversario dei libri di cavalleria e dei romanzi pastorali del suo tempo, da lui considerati alla stregua di veri e propri “coltelli”, posti nelle mani di “uomini furiosi”, ovvero i giovani inesperti (vedi A. Castillo Gómez, Leggere nella Spagna moderna. Erudizione, religiosità e svago, Bologna, Pàtron, 2013, pp. 20-21). Il tipografo è Pedro Patricio Mey, figura tutt’altro che marginale nella storia dell’editoria e della letteratura spagnole, poiché è uno stampatore cervantino, che pubblica, per Jusepe Ferrer, l’edizione valenciana del Quijote datata 1605, pochi mesi dopo la princeps madrilena, e poi quella del 1616.
Tornando però a Madrid e alle sue tipografie, possiamo isolare due titoli (per tre volumi). Il primo è l’Orthodoxa consultatio del frate cappuccino Zaccaria Boverio, storiografo dell’ordine e autore degli Annali, stampati da Tomás Junta nel 1623. Provenienza e tipologia dei libri novesi fanno sì che la sua presenza non sorprenda. Il testo di Boverio è suddiviso in parti e regole. Abbiamo due parti: la prima è suddivisa in nove regole; la seconda in sette. Tra le questioni poste: la vera fede e la vera religione; il modo di vivere; la vera chiesa…
after M. de Cervantes Saavedra, 1800-1899. London, Wellcome Library no. 22108i
Un altro tipografo madrileno di rilievo è Antonio de Uplaste, dalla cui officina escono i Discursos dell’Enríquez, in due volumi: Francisco Enríquez, Discursos morales a los Evangilos de Quaresma, Madrid, Antonio de Uplaste, 1638 e 1639. L’autore, un religioso di probabile origine portoghese, insegnava a Valladolid. La dedica è al cavallero don Pedro Valle de la Cerda, del habito de Calatrava, del Consejo de su Majestad en el de Hazienda, y Cruzado.
Lione – La seconda città che prendiamo in esame è Lione, dove la stampa trova le condizioni ottimali grazie a un contesto economicamente e culturalmente vivace nel quale prosperare e a una collocazione strategica, nei pressi di importanti vie di comunicazione, terrestri e fluviali. Facile dunque che Lione si confermi – anche nel Seicento, quando gli operatori di Parigi sono maggiormente favoriti da privilegi, dai monopoli e dal colbertismo – un agguerrito centro del libro francese. E questo, ribadisco, grazie ad alcune favorevoli condizioni strutturali, quali la consolidata tradizione delle sue numerose aziende, il loro dimensionamento e la consolidata capacità di stare sul mercato, frutto dell’importante rete commerciale europea per la quale Lione era divenuta snodo imprescindibile (Ne parla G. Montecchi, Itinerari bibliografici. Storie di libri, di tipografi e di editori, Milano, Franco Angeli, 2001, p. 24).
In città sono attive molte officine, come Cardon, Landry, Boissat, Huguetan e naturalmente Anisson. Per avere un primo, parziale riscontro della produzione degli Anisson prendiamo in esame tre opere, risalenti alla seconda metà del secolo. L’indicazione della responsabilità di stampa dei Sermons préchez devant son Altesse Royale Madame la Duchesse d’York, del gesuita la Colombière, rimanda alla società Anisson & Posuel, 1697. Vengono qui riuniti oltre sessanta sermoni, distribuiti in tre tomi, buoni per tutte le occasioni che possono presentarsi, ogni giorno, a un cristiano: per la festa dei Morti, la festa dei Santi, per il giorno della Circoncisione, per quello della Passione, per il giorno di san Giovanni Battista e via dicendo. Una lunga prefazione introduce al lettore la figura di Claude de la Colombière, il celebre predicatore francese proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 1992, ricordato come maestro nell’arte di scrivere e di parlare. Sempre dai torchi dell’Officina Anissoniana et Joan. Posuel, nel 1683, esce anche la fondamentale raccolta normativa degli Acta Ecclesiae Mediolanensis, di san Carlo Borromeo. Il solo Laurent compare invece quale stampatore del Cursus theologici (1666), compilato dal teologo Luis de Caspe, frate cappuccino.
La dinastia degli Anisson occupa una posizione di rilievo nella storia della stampa europea del XVII secolo. Tutto inizia con Laurent, che aveva collaborato in gioventù con Horace Cardon, e prosegue, a partire dagli anni Sessanta, con i figli Jean e Jacques, i quali, per consolidare le strategie commerciali dell’azienda, viaggiano in Italia, Spagna, Germania e Paesi Bassi. Alfonso Mirto, che ha studiato i fornitori di Magliabecchi, ricorda l’ingresso in società di Jean Posuel, nel 1675, «con il compito di rifornire il magazzino di libri provenienti dal mercato nord-europeo» e la successiva associazione, nel 1688, di Claude Rigaut, che a sua volta discendeva da un’antica famiglia di librai. Rigaut era dunque un profondo conoscitore del sistema delle fiere e divenne presto rappresentante della casa a Francoforte (si veda a riguardo A. Mirto, Stampatori, editori, librai nella seconda metà del Seicento. I grandi fornitori di Antonio Magliabecchi e della corte medicea, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 1994, pp. 95-108). Gli Anisson s’imposero così nel commercio europeo del libro, controllando soprattutto il mercato dell’Europa meridionale.
Il 15 gennaio 1691, Jean Anisson venne chiamato a dirigere l’Imprimerie Royale nel posto che era stato di Sébastien Cramoisy, finendo, di fatto, con l’indebolire il ruolo di Lione, a tutto vantaggio di Parigi (tre giorni dopo la nomina, il re prescrive che Anisson venga cooptato fra i librai e stampatori parigini, concedendogli dunque l’esercizio del mestiere in città), già in posizione dominante, e degli operatori ginevrini, concorrenti insidiosi. Morirà nel 1721. Alla prestigiosa carica assursero, in seguito, anche Rigaud, nominato il 16 febbraio 1707, e Louis Laurent Anisson, nipote di quest’ultimo, a partire dal 25 giugno 1723. Ancora, nel Settecento: Jacques Louis Laurent, detto Duperon, intorno al 1735, suo figlio Louis Laurent, nominato il 16 gennaio 1760, e infine, nel 1783, suo nipote étienne Alexandre Jacques, detto M. Jacques Anisson Duperon o anche M. Duperon. In quello stesso anno – ci ricorda Bernard alla fine dell’Ottocento – étienne inventò «un système de presse dont le modèle existe encore à l’Imprimerie impériale. C’est lui qui traita l’affaire de la suppression de l’imprimerie du cabinet du roi, […]. Ce fut le dernier directeur de l’Imprimerie royale du Louvre. Il fut guillotiné en 1794» (Histoire de l’Imprimerie Royale du Louvre, Paris, Imprimerie Impériale, 1867).
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