Parte cospicua della produzione letteraria del piemontese Pietro Isola (1785-1873) risale senza dubbio agli anni del domicilio coatto a Novi Ligure, fra 1833 e 1848, al quale fu costretto in seguito ai fatti del 1833, accuratamente ricostruiti dallo storico Francesco Trucco nel 1928. Entrato nel reggimento delle Guardie del Re nel 1816, divenuto prima sottotenente (1820), poi tenente d’ordinanza (1831), Isola fu arrestato il 15 maggio 1833, interrogato il 3 luglio e processato il 19 agosto. Seguì la condanna alle dimissioni dall’esercito e al soggiorno obbligato (con una pensione annua di trecento lire). Fra i reati ascrittigli vi fu l’aver professato opinioni liberali: anche per questo non riuscì a evitare la pena delle dimissioni e, appunto, l’esilio in patria. Oltre a essere stato fino all’ultimo un valoroso soldato (venne richiamato sul campo di battaglia a sessant’anni, contro gli austriaci), Isola sarà membro del Comitato Nazionale per l’erezione del monumento a Cristoforo Colombo (1842), provveditore agli studi della provincia di Novi e attivo filantropo. Nell’opera di questo patriota non certo minore, dimensione letteraria e dimensione politica si incontrano. La sua bibliografia risente felicemente dell’influenza di Dante, Foscolo, Pindemonte, Manzoni, della cultura inglese e dei classici latini. Inoltre, svela il profilo del buon verseggiatore (in gran parte, d’occasione), ma soprattutto quello del traduttore byroniano, pronto ad accogliere e mediare le più stimolanti suggestioni intellettuali del proprio tempo.
Insieme con numerosi altri letterati italiani che si cimenteranno per tutto il secolo con le opere di Byron, come Giuseppe Niccolini, Vittorio Betteloni, Pellegrino Rossi, ma soprattutto Andrea Maffei, che si dedicò a Byron mentre era impegnato con la fondamentale versione di Schiller (continuando poi fino agli anni ottanta), Isola sfrutta la propria conoscenza della lingua inglese e traduce le poesie del già controverso emblema romantico, molto influente sui patrioti italiani (affronterà in seguito anche con i versi del grande poeta e traduttore inglese William Cowper, 1731-1800, che si colloca agli albori del romanticismo inglese). Anche in questo caso, sono rintracciabili possibili assonanze con il Pellico del Conciliatore,che, nel 1818, a Milano, aveva pubblicato da Pirotta una versione in prosa del Manfred. Va subito detto che Isola non affronta il corpus byroniano nella sua totalità, ma interviene sul modello in modo critico: sceglie, discrimina e sembra privilegiare il poeta che riscatta il bardo dell’illecito per consegnarlo all’epica della libertà, il genio che supera la fase degli istinti per entrare in quella della gloria. Immagine peraltro sapientemente accreditata dallo stesso Byron, al fine di alimentare il proprio mito. «Stile robusto ed appassionato, – scriveva Isola – ricchezza grande d’immagini, maggiore di pensieri, audacia di genio indipendente e scevro dalle gelide bellezze dell’arte, ecco i caratteri della poesia di L. Byron, che mi parve degna d’italica versione».
Vorrei qui in particolare segnalare l’edizione Moretti (Novi, 1834), dedicata da Pietro al fratello Ferdinando. L’articolazione in due volumi di piccolo formato, con i ritratti del poeta e del traduttore, consentiva al lettore di avere a disposizione un volumetto tascabile, di agevole lettura e, secondo Isola, sufficientemente rappresentativo dell’opera di Byron. I poemi compresi, in alcuni casi introdotti a cura dello stesso traduttore, sono: II prigioniero di Chillon (I); Parisina (i); L’assedio di Corinto (i); // corsaro (i); Lara (i); // giaurro (II), La fidanzata d’Abìdo (II), L’isola (II); Mazzeppa (il); Lamento di Tasso (il), più le poesie Le lagrime, L’addio, Le tenebre (Cfr. la traduzione di Mazzeppa pubblicata a Chambery nel 1833 e dedicata all’amico Luigi Pescator, presso il quale Isola fu ospite: «Egli è in seno all’amicizia vostra che io ho meditata la traduzione di Mazzeppa, non che quella di un altro minor Poema del sommo Byron; […]». Le Tenebre, appunto) (tutte nel voi. II).
Rispettandone e rinvigorendone i toni chiaroscurali, Isola garantiva al lettore italiano di accedere pienamente alle intense storie raccontate da lord Byron, come quella assai celebre del prigioniero di Chillon: «II castello di Chillon – si legge nella notizia introduttiva – sorge tra Clarens e Villeneuve, situato all’estremità del lago di Ginevra. A sinistra vi sono le bocche del Rodano, ed in prospetto s’innalzano le montagne di Meillerie e la catena delle Alpi fra Boveret e S. Gings. Non lungi ed a tergo si precipita dalla collina un torrente. Il lago che bagna le sue mura, è stato misurato alla profondità di 800 piedi. Internamente un lungo ordine di prigioni fu già destinato ai primi Riformatori, e più tardi a’ rei di Stato. Una vecchia trave annerita dal tempo, che attraversa una delle volte, serviva forse di patibolo ai condannati. In una delle stanze vi sono sette pilastri da cui pendono catene ed anelli; sul pavimento si mostrano tuttavia le orme di un illustre prigioniero, che vi stette incatenato per molti anni. Il castello è assai vasto, e le sue mura biancheggianti si vedono ad una grande distanza».
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