Frederick Douglass (1818-1895), figura di riferimento nella storia della comunità afroamericana, è anche uno dei maggiori scrittori e oratori statunitensi dell’Ottocento.
Nato in una piantagione del Maryland, all’età di vent’anni riuscì a fuggire e si trasferì dapprima a New York e poi a New Bedford, in Massachusetts. Membro dell’African Methodist Episcopal Church, si distinse negli ambienti abolizionisti per la sua straordinaria capacità oratoria. Nel 1845, pubblicò la sua prima autobiografia, Narrative of Frederick Douglass, an American Slave. Written by Himself, che gli diede grandissima notorietà, tanto da spingerlo a varcare l’Oceano per propagandare in Gran Bretagna e Irlanda la causa abolizionista.
Negli anni della ricostruzione dopo la guerra civile, Douglass denunciò lo stallo politico che aveva fortemente compromesso il significato dei diritti costituzionali acquisiti dai quattro milioni di ex-schiavi al termine del conflitto: una battaglia nella quale s’impegnò fino alla fine dei suoi giorni, ricoprendo anche, in alcune occasioni, cariche pubbliche affidategli dal governo.
Gli scritti raccolti in questo volume, per la prima volta tradotti in italiano, testimoniano la grande attenzione di Douglass per le trasformazioni sociali e scientifiche del proprio tempo. In particolare, Douglass vide nella fotografia un formidabile strumento di emancipazione per i neri d’America, “un’arte democratica”, che, grazie alla sua neutralità meccanica, poteva per la prima volta rappresentare la vera natura dell’afroamericano, mostrarlo nella sua inequivocabile umanità, senza il fardello dei pregiudizi razziali prodotti dai bianchi. A questi temi dedicò alcune delle sue più celebri conferenze, attentamente analizzate da Pierangelo Castagneto nel saggio introduttivo.
Soggetto egli stesso di oltre centocinquanta ritratti, eseguiti nell’arco di tutta la vita, Frederick Douglass è stato senza dubbio l’americano più fotografato dell’Ottocento.
Traduzione e cura di Pierangelo Castagneto