“Il modo con cui venne educato Vittorio Emanuele III fu tanto raro, e tanto felici ne furono gli effetti, che io vagheggiai sempre l’idea di farne la storia, per presentarla, specialmente ai giovani, come mirabile esempio”.
È sulla base di questo proposito che Luigi Morandi scrisse Come fu educato Vittorio Emanuele III, resoconto dell’attività di insegnante d’italiano del principe, che da pochi giorni aveva compiuto i dodici anni.
Il libro, uscito nel 1901 (Luigi Morandi, Come fu educato Vittorio Emanuele III. Ricordi, Torino-Roma-Milano-Firenze-Napoli, Ditta G.B. Paravia e Comp., stampa Forzani e C. tipografi del Senato, 1901), conobbe ampia fortuna e nuove edizioni fino al 1933. Strutturato sulla base degli appunti presi da Morandi durante le lezioni, è composto da 18 brevi capitoli e nove tavole numerate con numeri romani, più lo stemma finale.
Riscoprirlo oggi significa non solo osservare in modo inconsueto (e forse autentico) la discussa figura di Vittorio Emanuele III, ma soprattutto attualizzare la fluida e ancor vivida penna di Morandi, che fu un letterato del Risorgimento e un critico di primo piano nell’Italia postunitaria.
Umbro di Todi, Morandi era nato il 18 dicembre 1844. Insegnante di grande esperienza, aveva fondato e diretto la rivista “L’Umbria e le Marche” (1868-1870). Sarà in seguito deputato del collegio di Todi (dal 1895) e senatore del Regno (nominato il 4 marzo 1905). Morirà a Roma il 6 gennaio 1922.
Il resoconto copre un periodo che va dalla mattina del 22 novembre 1881, quando Morandi si avvia “verso il Quirinale, per le strade ancora quasi buie e deserte”, al 22 dicembre 1886, giorno dell’ultimo esame del corso medio, dopo il quale il principe parte per un viaggio in Egitto e Palestina.
Il nuovo impiego – va detto – era giunto inaspettato. Grazie alla casuale mediazione della Marchesa di Villamarina, Morandi aveva infatti incontrato l’allora colonnello Egidio Osio, severo vicegovernatore di Sua Altezza, che stava cercando un precettore per il giovane principe, della cui educazione era responsabile.
A Morandi furono quindi sufficienti poche ore per trovarsi “davanti al Colonnello, nel modestissimo ma ridente appartamentino del Principe, sopra la biblioteca di S. M. la Regina” e iniziare la prima lezione.
“Il Colonnello mi diede i primi ammonimenti. Trattassi il Principe come qualunque altro de’ miei scolari; non gli usassi nessuna indulgenza o inopportuno riguardo, neppur nelle minime cose: se, per esempio, durante la lezione occorresse qualche oggetto, Egli, non io, dovesse alzarsi a prenderlo; cadesse un libro o altro, Egli dovesse raccoglierlo. Profittassi della molla dell’amor proprio, assai vivo nel Principe. Esigessi da Lui, fermamente e sempre, l’adempimento di tutti i suoi doveri. In quanto a me, se non facessi il bene, il Colonnello mi lasciò intendere che non m’avrebbe usato riguardi, in questo caso colpevoli, poiché c’era di mezzo un troppo alto interesse”. Insegnò subito la grammatica italiana, per preparare il giovane allo studio del latino e del francese (in seguito, Vittorio Emanuele III avrebbe perfezionato anche l’inglese e il tedesco). Poi passò alla storia della letteratura e della lingua.
Nel 1901, Morandi spiegherà ai lettori di essere stato spinto a scrivere poiché il misfatto incredibile che aveva tolto all’Italia il Re Buono “fece rivolgere improvvisamente l’attenzione del mondo sul giovane Principe, chiamato al trono in maniera così tragica” e perché “Egli era ancora tanto poco conosciuto dagli stessi Italiani”.
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